SALUTE E GUSTO CONSIGLI DI NUTRIZIONE E RICETTE
Rubrica a cura di Anna Laurenti e Margherita Nannini,
ricette a cura di LapiccolAlchemica by Fiammetta Paloschi
Essendo il pesce ricco di acidi grassi polinsaturi tende e deperire facilmente, per cui la sua corretta conservazione è importante per evitare eventuali intossicazioni alimentari, in particolare da quando, negli ultimi anni, il pesce crudo a basso prezzo è diventato una vera e propria moda.
Una delle intossicazioni da pesce crudo più diffusa è dovuta all’Anikasis Simplex, un vermetto di circa 2cm, assente nei pesci di fiume, nei molluschi bivalvi (come ostriche e cozze) e nei crostacei, ma molto diffuso in pesci come acciughe (alici), sarde, tonno, merluzzo, rana pescatrice. Una volta ingerito l’Anikasis invade l’apparato gastro-intestinale e interagisce col sistema immunitario attraverso meccanismi complessi.
I sintomi della patologia sono spesso scambiati per quelli di una brutta gastrite o di una colite trattandosi di dolori allo stomaco e all’addome, nausea, vomito e diarrea. In alcuni casi si verificano complicazioni, come le occlusioni intestinali che possono arrivare a richiedere un intervento chirurgico. Al momento non esistono farmaci per debellare il parassita e la prevenzione è l’unica arma.
Di fronte ai numerosi casi di intossicazione è lecito chiedersi cosa fare per eliminare il rischio Anisakis e mangiare serenamente un piatto di pesce. La cottura è il metodo migliore per neutralizzare le sue larve, infatti basta un minuto a 60°C per ucciderle tutte completamente. In ogni caso va tenuto conto che maggiori sono le dimensioni del trancio di pesce da cuocere, più tempo sarà necessario per bonificarlo.
Per chi invece preferisse consumare il pesce crudo, la migliore contromisura per neutralizzare il parassita consiste nel congelare il pesce prima di mangiarlo. Per distruggere tutte le larve è necessario tenere il pesce per almeno 24 ore a -20°C. Questo trattamento, conosciuto come “abbattitura del pesce” è obbligatorio per legge per i ristoranti che vogliono servire pesce crudo. Visto che i congelatori domestici generalmente arrivano a -18°C, i tempi si dilatano e bisogna tenere il pesce per almeno 96 ore (quattro giorni) in freezer.
Un altro problema generato dalla larga diffusione del consumo di pesce crudo è il cosiddetto mal di sushi. Sono soprattutto i sushi bar più a buon mercato – che spesso propongono la formula “all you can eat” (tariffa fissa e porzioni illimitate) – a essere additati come i principali responsabili della diffusione della “sindrome sgombroide”. Questa intossicazione alimentare, dovuta a una cattiva conservazione dei prodotti ittici, sembra giovarsi di due criticità da evidenziare. La prima fra queste è l’esposizione dei tranci di pesce in apposite vetrine, che però non sempre garantiscono una conservazione ottimale. La seconda – non meno grave ma più difficile da correggere – è dovuta alle non perfette condizioni di trasporto e di mantenimento della catena del freddo, situazione che le importazioni ittiche di ampio chilometraggio possono accusare.
Il mal di sushi è provocato dall’eccesso di una sostanza chimica, l’istamina, che a sua volta è il prodotto della degradazione di un amminoacido chiamato istidina, del quale sono ricche le carni di diverse tipologie di pesce. Fra le specie interessate, in primis c’è il tonno, molto ricercato dagli amanti del sushi ma la lista comprende anche gli sgombri, le palamite, le acciughe, le sardine e i tombarelli.
I sintomi della sindrome sgombroide, o mal di sushi, sono soggettivi e si possono presentare nel giro di poche ore dal consumo di pesce mal conservato; Ecco i principali: nausea, mal di testa, problemi gastrointestinali, arrossamenti e prurito, in particolare sul viso e sul collo, difficoltà a deglutire.
Se in seguito al consumo dei pesci sopra citati si accusano questi sintomi, non bisogna tardare nel contattare l’assistenza medica. Il mal di sushi si può risolvere senza cure specifiche nell’arco di alcune ore dalla comparsa dei sintomi. Più spesso, però, è necessario ricorrere ai farmaci antistaminici e cortisonici. Per le donne incinte, che devono evitare il cortisone, la situazione può essere più grave.
Evitare il pesce crudo però può non bastare per scongiurare il rischio di contrarre la sindrome sgombroide. L’istamina, responsabile di questa intossicazione, è resistente al calore. Non a caso, il mal di sushi si può prendere anche dopo aver mangiato pesce in scatola con alte dosi di questa sostanza. La cottura, quindi, non è la soluzione per proteggersi.
Per evitare che si formi istamina, quando si acquista e consuma pesce è molto importante lavare accuratamente i prodotti e rispettare la catena del freddo. Allo stesso modo, è sempre bene scegliere con attenzione i ristoranti che si frequentano, a prescindere che servano sushi o altre specialità. I locali che espongono i tranci di pesce in vetrinette mal refrigerate dovrebbero essere i primi a uscire dalle nostre preferenze. Quando si ha la possibilità di farlo, è bene controllare le temperature dei frigoriferi nei ristoranti e la presenza di ghiaccio nelle pescherie.