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Studi clinici: Dose Massima Tollerabile o Dose Minima Efficace?

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Fondazione Italiana GIST ETS

Proposte e commenti per rispondere alle esigenze dei pazienti.

Continua tra gli scienziati, nella comunità dei pazienti, nei blog dedicati, il dibattito su come migliorare il processo degli studi clinici, per rispondere più efficacemente alle necessità dei pazienti. Il dibattito si fa più acceso in particolare oggi, dopo che, con l’avvento degli inibitori della tirosin chinasi (TKI) il vecchio modello di studio clinico sembra essere superato.

Un problema su cui si discute è quello relativo al dosaggio dei farmaci in sperimentazione negli studi clinici.

Ricercare la Dose Minima Efficace anziché la Dose Massima Tollerabile(MDT) potrebbe essere più utile ed efficace? Da qualcuno si afferma di si, perché produrrebbe minore tossicità, minori effetti collaterali e di conseguenza maggiore aderenza alla terapia da parte dei pazienti con tempi più lunghi di risposta e risultati migliori per un maggior numero di persone.

Jerry Call, direttore scientifico di Life Raft Group (la più grande associazione americana di pazienti con GIST) anche se ritiene interessante ricercare la dose minima efficace  sostiene che può essere difficile determinarla e si domanda: “la Dose Minima Efficace è una dose che controlla la malattia in un momento temporale specifico o per lungo tempo?”

Che cosa succede se la dose minima efficace controlla la malattia per 12 mesi, mentre una dose maggiore la controlla per 36 mesi?

Determinare il controllo della malattia in un certo momento non significa necessariamente determinarne il controllo a lungo termine.

Come si misura la risposta e la durata della risposta dovrebbero essere elementi da tenere presente in ogni studio clinico progettato per esplorare le dosi minime efficaci “. (1)

Su questo importate tema, abbiamo interpellato alcuni oncologi italiani e riportiamo quanto hanno scritto per noi la Dott.ssa Maria A. Pantaleo, (DM SSD Oncologia Medica – Biasco, Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico S.Orsola Malpighi, Università di Bologna), e il Dr. Alessandro Comandone (Direttore  Struttura Complessa di Oncologia Medica, Presidio Sanitario Gradenigo, Torino)
Dr.ssa Maria A. Pantaleo

La messa in discussione delle modalità classiche di ricerca clinica, ovvero delle tipologie di studio per la sperimentazione di un nuovo farmaco o nuova combinazione di farmaci in oncologia, alla luce dell’avvento di nuovi farmaci, è uno dei temi di maggiore interesse nella comunità scientifica.

Dott.ssa Maria A. Pantaleo

Infatti, la proposta di modificare l’obiettivo di uno studio clinico dalla ricerca di “massima dose tollerata” in “dose minima efficace”, avanzata sempre più di frequente dai pazienti, è condivisibile anche da parte dei medici. Tuttavia ci sono alcuni aspetti critici che vanno discussi.

In linea generale, è impensabile ad oggi di disegnare uno studio clinico che possa andare bene per tutte le patologie oncologiche e per tutti farmaci. L’eterogeneità clinica e molecolare delle malattie oncologiche richiederebbe ormai una maggiore personalizzazione anche degli studi, che però potrebbero poi perdere di standardizzazione metodologica e di conseguenza di attendibilità, riproducibilità e sicurezza del dato.

Tale problematica è di carattere generale, ma avrebbe ancora maggiore peso se la trasferiamo ai tumori rari, quindi è forte l’esigenza anche per i clinici di disegnare nuovi modelli di studio che tengano conto della rarità del campione e nello stesso che si basino su razionali di previsione di efficacia molto forti.

La definizione efficacia, appunto, è proprio uno degli aspetti che crea le maggiori difficoltà. In passato, e purtroppo ancora oggi, la maggior parte degli studi clinici tiene conto della riduzione dimensionale della malattia, che è un concetto ormai superato nella pratica clinica in quanto le malattie oncologiche, proprio grazie ai nuovi farmaci, tendono a rimanere stabili o addirittura a crescere senza che questo comporti sempre un peggioramento. Lo stesso vale per il parametro tempo; in passato l’obiettivo era allungare un po’ di più il tempo della risposta al trattamento, ma oggi molte malattie hanno un andamento cronico e, quindi, sappiamo che questo accade, ed accade anche per un lungo periodo. Quindi, avere come obiettivo degli studi la “dose minima efficace” è corretto sul piano etico, ma richiede stabilire bene come valutare la efficacia di un trattamento. Inoltre la ricerca della “dose minima efficace” non garantisce fino in fondo il raggiungimento della “miglior efficacia”, che può essere la “efficacia minima” o “efficacia massima” a seconda delle patologie oncologiche, concetti di minimo e di massimo tra l’altro tutti da definire.

Inoltre, la ricerca di una dose piuttosto che un’altra in relazione a qualsiasi obiettivo, efficacia terapeutica o tolleranza, richiede sul piano metodologico il confronto fra classi di dosi. Di solito le classi non possono essere molte ampie sul piano numerico, per evitare che molti pazienti assumano una dose inefficace anche per molto tempo. Di contro, però, se sono costituite da un numero piccolo, non si riesce a giungere a conclusioni definitive sulla efficacia, neanche se questa venisse valutata con i vecchi concetti proprio a causa dei pochi pazienti inclusi.

Rimane comunque difficile escludere del tutto lo studio della tossicità salvo che “a priori” non si consideri le varie classi di dosi scelte arbitrariamente in studio siano già ben tollerate.

Altri aspetti si potrebbero ancora commentare e si dovrebbero approfondire, soprattutto se si studiano farmaci in compresse: ad esempio la relazione tra la aderenza del paziente alla terapia e l’efficacia, tra l’assorbimento del farmaco e l’efficacia, il suo metabolismo e tutti gli aspetti di farmacocinetica che ne derivano, anche se questi sono temi generali che sono validi sempre e per tutti gli studi clinici, ma che richiedono ancora maggiore attenzione se possono compromettere la scelta della dose di un farmaco.

In generale la prospettiva più interessante della ricerca clinica, sarebbe quella di poter selezionare bene la popolazione da studiare e di sperimentare i farmaci su basi scientifiche molecolari note, che ne costituiscono il razionale di fondo, e dove l’obiettivo terapeutico è quello di intervenire direttamente sulla biologia della malattia che poi, di contro, si rifletterà sulla prognosi del paziente. Questo però presuppone che ci siano conoscenze approfondite della malattia, in tutte le sue manifestazioni cliniche ed in tutte le sue fasi evolutive e che ci sia un parametro molecolare di efficacia misurabile direttamente sul paziente diverso dalle classiche dimensioni. La ricerca deve andare verso questa prospettiva.

In conclusione, gli aspetti che ruotano intorno al tema degli studi clinici sono tanti. E’ indubbio che una innovazione in tema di ricerca clinica è necessario. E’ indubbio anche che la comunità scientifica è già sensibilizzata. Certamente la collaborazione tra ricercatori e pazienti potrebbe essere proficua al fine del raggiungimento di questo auspicabile miglioramento.

Dr. Alessandro Comandone

Carissimi Associati e Amici di A.I.G. ,

è con molto onore che mi accingo a scrivere queste righe su un argomento che sta tenendo banco da almeno 10 anni in campo oncologico: con i nuovi farmaci biologici è meglio un approccio scientifico che utilizzi la Massima Dose Tollerabile o la Minima Dose Efficace?

Dott. Alessandro Comandone

Vorrei  innanzitutto fugare alcuni dubbi, per poter affrontare serenamente l’argomento.

Nessuno  ritiene il Paziente un oggetto da sottoporre ad esperimenti , ma lo considera pienamente Persona da rispettare nella sua integrità.

La Medicina NON è una scienza esatta e dunque non può avvalersi di regole immutabili e sempre ripetibili: ognuno di noi è fatto in modo diverso, l’organismo reagisce in modo diverso ai farmaci e la stessa dose di un farmaco può determinare ( purtroppo) effetti terapeutici e tossici differenti.

Pertanto le regole sulla conduzione degli studi clinici per giungere a definire la dose esatta di un farmaco , la sua efficacia e la sua tossicità sono state scritte nel corso dei decenni dagli Oncologi, sostenuti dai Farmacologi. Ma a complicare la situazione già molto articolata sono intervenuti all’inizio del nuovo millennio i nuovi farmaci a bersaglio molecolare che hanno costretto a riscrivere in tempi brevi le basi della Farmacologia Clinica.

Infatti per definire l’attività e  le dosi di un farmaco chemioterapico classico, dotato cioè di attività sulle popolazioni cellulari in corso di replicazione era necessario cercare la Dose Massima Tollerata perché con questi farmaci, purtroppo, ma inevitabilmente,  solo raggiungendo dosi tossiche si poteva presumere di aver identificato la dose terapeutica.

Pertanto fu definita la ricerca su un farmaco in 4 fasi: la Fase 1 che mira esclusivamente a definire la dose più vicina a quella terapeutica, la fase 2 che identifica  il campo di attività del farmaco, cioè su quali tumori sia attivo il farmaco, la fase 3 che invece confronta l’attività di un farmaco o di una nuova combinazione rispetto alla terapia ritenuta più attiva in quel tumore specifico e infine la fase 4 per determinare l’attività di un farmaco nella popolazione generale all’esterno di studi clinici controllati ed eventuali tossicità tardive o remote.  La dose massima tollerabile  viene determinata sulla tossicità midollare ( su globuli bianchi,  globuli rossi e piastrine).L’equazione è dunque: dose che ha determinato la tossicità non pericolosa per il Malato = dose terapeutica utile (cioè  Massima Dose Tollerata).

Con il sopraggiungere dei nuovi farmaci il quadro è radicalmente cambiato: infatti i farmaci a bersaglio molecolare non  causano tossicità midollare ma tossicità diverse quali astenia , diarrea, edemi, rash cutanei e NESSUNA di queste tossicità si correla in modo significativo alla risposta clinica.

Anche in questo caso esistono differenze individuali assai rilevanti, seppur non così marcate come nel caso dei chemioterapici. Infatti  mentre la dose dei chemioterapici si esprime in mg al metro quadro, la dose dei farmaci a bersaglio molecolare  si esprime in milligrammi come valore assoluto ( ad esempio Imatinib viene somministrato a 400 mg / die sia che una persona pesi 60 Kg che 100 Kg).

Si tratta dunque di identificare un parametro nuovo per determinare l’efficacia del farmaco.

Dopo numerosi tentativi si è giunti per CONVENZIONE, non per esattezza matematica,  a definire come utile la dose che causa un cambiamento volumetrico della malattia (c.d. Dose Minima Efficace).

Si comprende come questo parametro sia purtroppo anch’esso molto variabile: in alcune Persone infatti l’effetto terapeutico lo raggiungiamo dopo solo uno o due mesi di terapia, in  Altre dopo quattro o cinque.

Comprendiamo dunque facilmente che anche questi non sono valori assoluti: sarebbe infatti un errore gravissimo se interrompessimo la terapia in TUTTI i Pazienti senza risposta clinica dopo un mese o due, presumendo che il farmaco non sia efficace.  Infatti potremmo privare di un trattamento alcune persone che sono solo tardive nella risposta, ottenendo un risultato dopo più lungo tempo

Per contro continuare a trattare  Pazienti non responsivi alla terapia sarebbe inutile e deleterio.

Pertanto ognuno si rende conto  che anche la Dose Minima Efficace sia molto opinabile come parametro perché molto  soggettivo.

Non vorrei dunque che si creassero confusioni ritenendo che per qualche interesse non si usi la Dose Minima   Efficace. Il suo scarso utilizzo deriva dai motivi sopra elencati  e soprattutto dal fatto che è un parametro non predittivo di efficacia di terapia ma lo si deduce  solo a conclusione di un periodo di trattamento.

Al momento attuale non vi è ancora una soluzione definitiva a questo problema, anche se con l’aumento dei farmaci  a bersaglio molecolare si è dovuti giungere ad un compromesso.

Attualmente si cerca di definire la Dose Biologica Efficace , cioè la dose che sembra bloccare in vitro la replicazione cellulare.

Da tale dose si parte per definire la Dose di efficacia terapeutica nell’Essere Umano con studi di Fase 2 e poi di  efficacia con studi di fase 3.

Indispensabili in questi farmaci sono poi gli studi di fase 4 o di farmacovigilanza per determinare sia le tossicità tardive che l’efficacia su tempi lunghi.

In conclusione dunque possiamo asserire che la Dose Minima Efficace è un desiderio di tutti noi, Pazienti e Medici ricercatori, ma che siamo ancora lontani dalla corretta definizione di come determinarla e soprattutto come personalizzarla singolarmente.

Con Imatinib un aiuto può provenire dalla definizione della concentrazione plasmatica del farmaco, secondo quanto evidenziato da Demetri nel suo studio di farmacocinetica, ma  anche in questo caso, le grosse variazioni tra Persona e Persona lasciano molti dubbi sulla sua reale applicabilità.

L’auspicio è che in un prossimo futuro vi siano modalità rapide nel definire la Dose Biologica Ottimale ad esempio su colture cellulari di cellule tumorali derivate da ogni Paziente per giungere ad una reale personalizzazione del trattamento.

Note

https://liferaftgroup.org/2013/07/clinical-trials-reform

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