Il consenso informato in ambito sanitario – parte seconda
La tutela della salute del paziente fragile
di Maurizio Campagna
Parole chiave: persona interdetta – persona inabilitata – amministrazione di sostegno – consenso informato – autodeterminazione del paziente – pianificazione condivisa delle cure – Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità – Convenzione di Oviedo |
Nel numero precedente di questa rubrica è stato affrontato il tema del consenso informato in ambito sanitario alla luce delle disposizioni della legge 22 dicembre 2017 n. 219[1]. L’indagine era stata condotta avendo come riferimento principale il paziente capace, in grado cioè di compiere autonomamente ogni tipo di scelta, comprese quelle personalissime relative al suo stato di salute.
La centralità del consenso informato è emersa chiaramente dall’analisi delle norme su un duplice piano: da un lato la legge che, per la prima volta, introduce una disciplina organica della materia nel nostro ordinamento, stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata; dall’altro fa derivare da tale assunto una serie di nuovi obblighi di natura organizzativa in capo alle strutture sanitarie. Queste ultime, infatti, sono tenute a garantire con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione della legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale.
Su entrambi i piani, la legge 219/2017 dovrà trovare applicazione anche in relazione ai soggetti incapaci. La tutela della salute di questi ultimi, nella sua concezione più ampia e moderna di stato completo di benessere fisico e psichico, costituisce da sempre un sicuro parametro per misurare il livello di effettiva protezione garantito dai sistemi di welfare. Il riconoscimento dei “diritti a prestazione”, quale è quello alla tutela della salute, deve necessariamente tradursi in azioni concrete sul versante organizzativo in ragione del legame indissolubile tra (buona) organizzazione e accesso ai diritti, soprattutto da parte dei soggetti fragili. Il legislatore del 2017 aveva ben presente tale connessione tanto da aver assegnato alle strutture sanitarie precise responsabilità nel “progetto” di promozione e tutela del diritto all’autodeterminazione di tutti i pazienti.
L’articolo 3 della legge 219/2017 è dedicato ai minori e agli incapaci. La disposizione disciplina il consenso informato della persona interdetta, della persona inabilitata e del paziente che beneficia dell’amministrazione di sostegno. A tali soggetti è riconosciuto il diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione. L’incapace deve pertanto ricevere le informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messo nelle condizioni di esprimere le sue volontà.
Viene così fissato un limite alla supplenza del rappresentante legale della persona interdetta, del curatore dell’inabilitato o dell’amministratore di sostegno a seconda dei casi, attribuendo valore, nei limiti del possibile, alla volontà del paziente.
Anche con riferimento alla tutela della salute delle persone deboli, quindi, la legge 219/2017 recepisce i risultati conseguiti già dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Nel contesto della ben nota vicenda del caso Englaro, infatti, la Cassazione aveva chiarito che «il carattere personalissimo del diritto alla salute dell’incapace comporta che il riferimento all’istituto della rappresentanza legale non trasferisce sul tutore, il quale è investito di una funzione di diritto privato, un potere incondizionato di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incoscienza. Nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla persona dell’incapace, la rappresentanza del tutore è sottoposta a un duplice ordine di vincoli: egli deve, innanzitutto, agire nell’esclusivo interesse dell’incapace; e, nella ricerca del best interest, deve decidere non “al posto” dell’incapace né “per” l’incapace, ma “con” l’incapace», delineando pertanto una funzione del rappresentante legale integrativa della volontà del malato, che diventa limite funzionale al potere del tutore (Cassazione civ., sez. I, sentenza 16 ottobre 2007, n. 21748).
L’intervento di un rappresentante legale (o di un curatore o di un amministratore di sostegno) amplia la relazione di cura che nel modello del “paziente tipo” prevede la necessaria presenza di quest’ultimo e del medico, con il contributo degli esercenti una professione sanitaria che compongono l’équipe, in base alle rispettive competenze. Il comma 2 dell’art. 1 l. 219/2017 prevede altresì che, se il paziente lo desidera, in tale relazione sono coinvolti anche i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo. Nel caso di soggetti deboli la relazione inevitabilmente deve comprendere anche il rappresentante legale, il curatore o l’amministratore di sostegno. In tale rapporto trilaterale dovranno pertanto trovare attuazione i principi della nuova legge.
Il trasferimento di informazioni da parte del medico in modo consono alle capacità del paziente richiesto dalla legge comporta che il sanitario sia in grado (professionalmente) di comunicare con soggetti che presentano capacità di comprensione limitate o altre fragilità. Si tratta di una diretta conseguenza del diritto alla valorizzazione delle proprie capacità riconosciuto alla persona minore di età o incapace. Al professionista è richiesta pertanto una competenza specifica, di tipo comunicativo, che in una lettura sistematica delle disposizioni della legge 219/2017, può essere ricompresa tra gli oggetti dei piani di formazione che le strutture, pubbliche e private, sono tenute a predisporre in favore del personale. La piena attuazione della norma, pertanto, richiede un vero e proprio impegno organizzativo che copre l’intero processo di tutela dell’autodeterminazione del paziente: così come le informazioni devono essere trasmesse in modo consono alle sue capacità, anche la diversa fase della manifestazione e documentazione del suo consenso deve essere assistita, se necessario, dall’impiego di strumenti adeguati alle condizioni dell’assistito e in grado di garantirgli in ogni caso la possibilità di comunicare.
La disciplina del consenso informato della persona incapace si inserisce in un contesto culturale profondamente mutato. La condizione di emarginazione della persona disabile, dopo un lungo percorso, è stata sostituita da una visione opposta, volta alla promozione del suo inserimento sociale e della sua autonomia, così come al riconoscimento del suo valore e del suo apporto.
Un contributo determinante per il cambiamento di prospettiva è derivato dal dibattito e dai documenti internazionali.
La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità[2], in particolare, richiede “ai professionisti sanitari di fornire alle persone con disabilità cure della medesima qualità rispetto a quelle fornite ad altri, anche sulla base del consenso libero e informato della persona con disabilità interessata, aumentando, tra l’altro, la conoscenza dei diritti umani, della dignità, dell’autonomia e dei bisogni delle persone con disabilità attraverso la formazione e la promulgazione di standard etici per l’assistenza sanitaria pubblica e privata”.
La necessità di togliere il disabile dall’isolamento in cui era stato da sempre relegato, in un contesto di generale diffidenza, ha avuto, tra gli altri, l’effetto di avviare un percorso per la revisione degli strumenti tradizionali di tutela e protezione dei soggetti incapaci: interdizione e inabilitazione. Tali istituti non risultavano più adatti alla nuova idea di disabile e non adeguati a valorizzare le residue capacità del soggetto in ragione della loro eccessiva rigidità e dello stigma sociale negativo connesso al loro utilizzo.
La risposta a queste nuove esigenze è arrivata con la legge 9 gennaio 2004 n. 6[3], con cui il legislatore ha introdotto l’istituto dell’amministrazione di sostegno.
La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio. Si tratta ormai dello strumento di tutela più usato in considerazione della sua evidente duttilità e capacità di adattarsi al caso concreto. L’amministratore di sostegno è, infatti, nominato con decreto che deve riportare, tra gli altri contenuti, l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, nonché gli atti che il beneficiario può compiere solo se assistito. Il giudice tutelare può, in ogni tempo, modificare o integrare, anche d’ufficio, le decisioni assunte con il decreto di nomina che può essere, pertanto, adattato e aggiornato nel tempo in ragione delle diverse necessità del paziente. Quest’ultimo conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria.
Gli
istituti tradizionali dell’interdizione e dell’inabilitazione risultano oggi scelte residuali rispetto all’amministrazione
di sostegno che riesce a coniugare più efficacemente la finalità di tutelare le
persone prive in tutto in parte di autonomia, con la minore limitazione
possibile della loro capacità di agire.
L’articolo 3 della legge 219/2017 con riferimento ai diversi strumenti di tutela prevede le seguenti ipotesi.
A. Il consenso informato della persona interdetta è espresso o rifiutato dal tutore, sentito l’interdetto ove possibile, avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita della persona nel pieno rispetto della sua dignità.
Art. 414 Codice civile Persone che possono essere interdette Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione. |
B. Il consenso informato della persona inabilitata è espresso dalla medesima persona. L’inabilitato, infatti, in molti casi conserva una capacità parziale, tuttavia sufficiente a consentirgli di esprimere la sua volontà in ordine a scelte relative alla sua salute.
Art. 415 Codice civile Persone che possono essere inabilitate Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo all’interdizione, può essere inabilitato. Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcooliche o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Possono infine essere inabilitati il sordo e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un’educazione sufficiente, salva l’applicazione dell’articolo 414 quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi. |
E’ opportuno ricordare che l’interdizione e l’inabilitazione possono essere promosse dalle stesse persone indicate negli articoli 414 e 415 del codice civile, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o curatore ovvero dal pubblico ministero. Se l’interdicendo o l’inabilitando si trova sotto la responsabilità genitoriale o ha per curatore uno dei genitori, l’interdizione o l’inabilitazione non può essere promossa che su istanza del genitore medesimo o del pubblico ministero. L’interdizione e l’inabilitazione sono dichiarate con sentenza.
La legge 219/2017 ha pertanto applicato il principio generale della massima valorizzazione della capacità residua del paziente incapace ai due strumenti tradizionali di tutela e protezione. Con particolare riferimento all’interdetto, il legislatore ha posto l’accento sull’obbligo di raccogliere, ove possibile la volontà della persona, ma soprattutto spicca la necessità che sia sempre assicurato il pieno rispetto della dignità della persona, anche laddove si ricorra al rimedio più estremo dell’interdizione.
C. Nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno, se la nomina prevede l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere. Anche con specifico riferimento alla capacità di autodeterminarsi in relazione alle scelte inerenti alla propria salute, l’amministrazione di sostegno mantiene dunque la sua natura di strumento graduabile e “su misura”.
L’istituto introdotto nel 2004 nel contesto della nuova disciplina del consenso informato appare quindi come il rimedio principale proprio perché più adatto alla variabilità e imprevedibilità delle evoluzioni dello stato di salute.
La legge 219/2017 conferma tale impostazione con altri chiari riferimenti. Nel caso in cui le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) non contengano l’indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace, le disposizioni già date mantengono efficacia in merito alle volontà del paziente e, in caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno. Quest’ultimo dovrà agire sulla base di una volontà manifestata e resa nota in passato.
Sul punto, a livello internazionale, la Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina (Convenzione di Oviedo del 1997) prevede espressamente che “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione” (art. 9).
La giurisprudenza in più occasioni ha ribadito tale principio applicandolo a casi concreti alcuni dei quali resi noti dalle cronache.
Anche con riferimento alla pianificazione condivisa delle cure, infine, la legge 219/2017, prevede la possibilità che venga nominato un amministratore di sostegno affinché sia rispettata e attuata la volontà del paziente già manifestata validamente.
Il sistema contiene infine una “norma di chiusura del sistema” (Noccelli): eventuali conflitti tra il medico da un lato e il rappresentante legale o l’amministratore dall’altro in ordine alle scelte terapeutiche, in assenza di disposizioni anticipate di trattamento, sono risolti dal giudice tutelare, che riacquista in tale ipotesi il suo ruolo di interprete e garante di ultima istanza dell’interesse del paziente.
Spunti bibliografici Carlo Colapietro, Diritti dei disabili e costituzione, Editoriale Scientifica, 2010 Massimo Noccelli, La cura dell’incapace tra volontà del paziente, istituti di tutela ed organizzazione del servizio sanitario, in www.federalismi.it, 25 luglio 2018 (ultima consultazione 28/06/2019) Paolo Zatti, Spunti per una lettura della legge sul consenso informato e DAT, in “Responsabilità medica. Diritto e pratica clinica”, 31 gennaio 2018 (disponibile online: http://www.rivistaresponsabilitamedica.it/wp-content/uploads/2018/01/paolo-zatti-spunti-per-una-lettura-della-l-n-219-2017.pdf, ultima consultazione 28/06/2019) |
[1] Legge 22 dicembre 2019, n. 219 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”.
[2] Ratificata dall’Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18
[3] Legge 9 gennaio 2004, n. 6: “Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali”.

L’autore
Maurizio Campagna (Ferrari Pedeferri Boni Studio Legale Associato) – Avvocato, Dottore di ricerca in Istituzioni di Diritto pubblico. Si occupa di Diritto sanitario e Farmaceutico. Autore di pubblicazioni scientifiche e divulgative in tema di Diritto sanitario, Diritti sociali, Regolazione dell’economia, Organizzazione sanitaria. È consulente di Associazioni di pazienti, Ordini professionali, Associazioni di categoria in ambito sanitario. È docente presso Master universitari e corsi di formazione.

Ferrari Pedeferri Boni Studio Legale Associato
FPB è uno studio legale indipendente che si occupa in prevalenza di diritto commerciale e diritto d’impresa. FPB inoltre, con un team di professionisti specializzati, offre un’ampia gamma di servizi di assistenza legale stragiudiziale specifici per gli enti sanitari, le imprese farmaceutiche e gli enti del terzo settore.
www.fpblegal.com